Categoria: Diario di Marco

  • Pomeriggio a IKEA

    Pomeriggio a IKEA

    Sto lavorando da una postazione a Ikea.

    Sono rientrato ieri, dopo qualche giorno di stacco in Francia, abbiamo scoperto un posto meraviglioso: Briançon, subito dopo il confine, a meno di 3h di auto da Milano. Natura, fiumi, laghi, montagne… siamo stati bene. Oggi mi son diretto verso DAIMON per accorgermi che ieri avevo tolto le chiavi di tasca e così ho deciso di fermarmi a Ikea invece di tornare a casa a prenderle.

    La WiFi è migliorata e si lavora molto bene, con un wrap, un caffè lungo…

    Ogni tanto faccio una pausa e tolgo le cuffie e non posso non osservare il mondo intorno. Inoltre ho avuto la fortuna di imparare a dattilografare alle superiori e spesso mentre scrivo sposto lo sguardo oltre il computer e noto le facce delle persone che salgono la scala mobile. Allora qualche osservazione/considerazione ha iniziato a nascere. E ho deciso di fare una pausa più lunga e scrivere dei pensieri da condividere.

    Soprattutto perché è iniziata una playlist leggermente malinconica, o comunque sentimentale che mi ha portato a pensare a noi esseri umani, come esseri un po’ strani e particolari. Due grandi filoni mi attraversano: quello dei genitori e quello delle coppie, ma se ne è aggiunto poi un terzo, quello degli amici. Vediamoli separati e poi proviamo a unirli alla fine.

    I genitori

    Sono i primi che mi hanno colpito, partiamo da loro. E non sto generalizzando, ma sono nello specifico quelli che ho incontrato mentre facevo la coda per prendere una merenda in una delle famose pause. Ma anche quelli che ho incontrato quando sono arrivato. Non iniziamo bene perché il primo pensiero che mi è nato in testa è stato “non siamo obbligati a fare figli, forse lo pensiamo, ma non è così”. A volte penso che viviamo dentro una sorta di veicolo invisibile con il pilota automatico. Anch’io ho pensato fino ai miei 20 anni di dover studiare, trovare un lavoro, formare una famiglia, fare dei figli, educarli e mandare avanti il mondo. E, sempre nei miei vent’anni, ho cominciato a pensare che fosse un pensiero leggermente arrogante. Mi spiego: se sali a un’altitudine sufficiente, anche solo quella di un palazzo, noi esseri umani diventiamo molto piccoli; se sali su una montagna, spariamo proprio e se riesci ad andare ancora un po’ più su, sparisce anche quello che abbiamo costruito. Non son sicuro sia vero, ma per ChatGPT l’intera popolazione umana, in piedi, occupa solo l’intera Lombardia, tutto qua. E noi pensiamo che con il nostro operare possiamo portare avanti il mondo? Il mondo va avanti e noi dovremmo diventare sufficientemente bravi da saper seguire. Questo è quello che ho iniziato a imparare, crescendo. E da quando ho figli mi sembra ancora più naturale. Educare i figli? Sì qualcosa dobbiamo dirgli per educarli alla sopravvivenza o all’integrazione nella società, ma per tutto il resto sono loro che ci riportano al sentire autentico, a insegnarci quel che ci siamo persi o che non abbiamo mai avuto modo di acquisire. Con la loro capacità di dire di no o sì a ciò che vogliono e non a ciò che devono volere. Io non so da che viaggio vengano i genitori che ho incontrato oggi e non mi permetto di giudicarli e non racconterò cosa ho visto, ma so con sufficiente certezza ed esperienza, che noi genitori non siamo insegnanti, siamo allievi. Quando decidi di diventare genitore, dovresti comprendere che stai diventando un allievo per il resto della tua vita. Cosa che in realtà saresti comunque.

    Coppie

    Beh bisognerebbe parlare di età, prospettive e tante altre cose, ma mi limito a quanto visto oggi. Son certo che esistano coppie che entrano a Ikea strafelici di iniziare a costruire il loro nido, ma non oggi (in realtà poi verso sera ne ho viste di tenere). Oggi ho visto coppie annoiate, con lui che guarda un cellulare (magari cerca info su materiali, misure, colori… io lo faccio), lei persa su un punto fisso sul soffitto, che cambia mentre la scala mobile scorre. E anche qua non giudico, non so nulla, osservo e riporto a me. Quanto tempo perdo dentro a qualcosa che la mia mente ritiene importante, scordandomi di ciò che mi sta scorrendo attorno, solo perché credo che quell’intorno sia lo stesso di ieri e dell’altro ieri… E soprattutto senza mai guardare negli occhi, chi ho al mio fianco in quel momento? Per me coppia significa condividere, tutto, il bello e il brutto. Avere il nostro surplus sempre sul tavolo della cucina, perché l’unica persona con la quale mi sento di poterlo vedere senza remore o vergogna è la persona che è in coppia con me. E il tavolo della cucina è quello più vissuto e in vista – almeno dalle famiglie italiane in media, e da noi sicuramente. Invece a volte tiriamo in dietro i nostri pensieri, voleri, desideri. Portiamo avanti le paure e non parliamo dal cuore, ma dalle strutture, quelle stesse che società, scuola e famiglia ci hanno insegnato. Ed è proprio per questo che non si può smettere mai di apprendere, di crescere, di rielaborare, trasformare.

    Gli amici

    Li vedi ridere, parlare, difficilmente hanno un momento in cui stanno in silenzio. È un equilibrio opposto. E mi son chiesto con quanti amici sono in grado di stare in silenzio senza sentirmi in imbarazzo o costretto a parlare. E mi son risposto: tutti, altrimenti non sono amici. Di fatti gli altri hanno preso altre strade. Per me è stato così, quasi da sempre. Io ricordo tutti – e forse è così anche per loro – e con tutti se ci incontrassimo per caso, mi fermerei a prendere un caffè o qualcosa con immenso piacere. Ma la vita ci conosce meglio di noi stessi. E spesso non ci fa più incontrare per caso, come è accaduto quando ci siamo conosciuti. E ci sarebbero occasioni anche facili per far accadere quel caso. Perché ognuno procede, sempre e comunque, per il suo sentiero. E se non lo cambiamo insieme, le vie si separano e il più delle volte semplicemente si allontanano. Altre volte ci sono delle piccole ricongiunzioni, degli incroci, ma anche in quel caso la volontà deve essere unanime di prendere la stessa via, altrimenti – di nuovo – ognuno proseguirà per il proprio viaggio. Ed è giusto così.

    I single

    ne ho aggiunto una (forse due). Di solito sono quelli che camminano più veloci. Spesso persi nel loro dover portare a termine ciò per cui hanno messo piede in Ikea. Del resto non è un luogo in cui uno viene da solo a passeggiare. Anche se con l’area di ristoro, mi sto ricredendo. Uno potrebbe venire da solo, per un caffè, lavorare, guardare fuori dalla finestra vista mare… cioè parcheggio – ma per me e Francesca è vista mare!

    Gli altri

    Potremmo poi parlare di chi ci lavora, di chi ritorna perché ha scordato un pezzo, di chi fa solo un giro perché è agosto ed è una scusa come un’altra di fare qualcosa con qualcuno; per mangiare, o fare merenda, colazione, per litigare, baciarsi sulle scale, andare al bagno, che di bagni pubblici non ce ne sono più. Ma ho scritto già a sufficienza direi.

    Insieme

    E come mettiamo insieme tutto questo? Semplice, ogni parte raccontata è comunque una parte di noi, sia che siamo figli, genitori, in coppia, single… perché avremo momenti in cui penseremo che è nostro dovere insegnare, oppure fare la cosa giusta, o rinunciare a qualcosa perché siamo in ritardo, o dare per scontato un nostro sentire… e lì perderemo la parte più importante di noi: quella che sa ascoltare cosa diciamo, desideriamo, vogliamo.

    Non che sia bravo a farlo, ma per me giusto e sbagliato benché siano due concetti naturali, sono anche due concetti bassi. Dovremmo trascenderli appena ci rendiamo conto di provarli, avvertirli, vederli, per diventare la versione più alta che portano nel loro seme e andare a prenderci quel sentire che è nostro, personale, singolare e unico: ovvero di nessun altro e considerarlo giusto e l’unico giusto possibile. E seguirlo, senza poter far altro, che seguirlo.

    Ci incontreremo, ci perderemo,
    ci cambieremo, ci trasformeremo.
    Diventeremo.
    Se la direzione siamo Noi,
    andrà tutto bene, qualunque sbaglio commetteremo,
    se la direzione sarà il giusto,
    ci perderemo qualunque successo otterremo.

  • Essere Guidati

    Essere Guidati

    Siamo guidati, non può essere che così.

    Stamattina mi sono alzato con questa sensazione, nata dagli ultimi 4 giorni. O meglio, consolidata negli ultimi 4 giorni, perché non credo che certe sensazioni possano nascere di botto, a meno di eventi traumatici, piuttosto ci arrivano gradualmente, a patto che ci dedichiamo a noi stessi con costanza.

    Essere guidati significa
    fare ancora meglio
    ciò che desideriamo
    nel profondo.

    Inizia venerdì. La settimana finisce con un’ultima sessione qui a DAIMON e la sensazione che sia stato tutto bello e tutto abbia fluito armoniosamente. Assaporata quella sensazione lì, eccone salire un’altra, di tutt’altra natura. Un involucro di ansia, che spesso arriva quando hai fatto qualcosa di sbagliato, inadeguato, non allineato a te. E non capisco. Non è coerente, con quanto penso del momento. Non posso farci niente, quel sentire permane, cerco di accoglierlo senza giudizio e osservarlo.

    A casa con Francesca, condivido il mio stato d’animo e provo a dare delle motivazioni, ma nessuna mi risuona veramente. E anche Francesca, che in quel momento, ascoltandomi con sincerità, mi fa da specchio, non mi restituisce qualcosa di assimilabile alla sensazione.

    La testa non comprende, so che va bene così, spesso non è il momento di comprendere, bisogna solo lasciare accadere e rimanere vigili, osservare, appunto.

    Quel fine settimana, con Francesca, abbiamo partecipato a un workshop sul Canto e la Voce Essenziale, organizzato da Vocal Essence®. Giovanna Mazzon, guida e mentore del metodo, inizia chiedendo “Vi ricordate il tema di questi due giorni?” e poi continua specificandolo “La Vergogna“. E io mi dico, “la vergogna, davvero? Non era un altro?” E poi lo ripete “La Performance“…

    -Ah, ecco!- mi dico, la performance, questo ha molto più senso, avevo capito male.

    Poi entriamo nella stanza lavoro e in cerchio ognuno condivide l’intenzione di lavoro con tutti i partecipanti. E lì mi rendo conto che la mia intenzione di lavoro è proprio la vergogna. Ed è esattamente la sensazione portata fuori da quell’involucro d’ansia, il giorno precedente.

    Qualcosa/Qualcuno – fin dal giorno precedente – aveva già iniziato a farmi lavorare nella direzione di questo seminario, e di ciò che necessitavo maggiormente, per fare un altro passo avanti nella riscoperta della mia voce essenziale.

    Il lavoro con Giovanna e tutti i partecipanti, insieme a Francesca, è stato profondo e trasformativo. E quando trovi la guida giusta per quel momento di vita, è naturale che sia così – non scontato, ma naturale. È stato particolarmente provante, perché sono tornato a stretto contatto con un “blocco vergogna” importante, sedimentato nelle memorie, sicuramente di me bambino, ma forse ancora più antiche. E mi hanno fatto sentire perentoriamente quella sensazione di essere sotto attacco, e se avessi sbagliato qualcosa, sarei stato colpito e affondato.

    E naturalmente ho sbagliato di tutto
    e non sono stato né colpito, né affondato.

    Ma ci sono momenti in cui
    sapere questo non aiuta,
    anzi rischia di allontanarci dalla difficoltà.

    Perché alcune difficoltà vanno attraversate anche nella loro assurdità di pensiero:
    quando questo è onesto e risuona con la sensazione che stiamo provando.

    Son felice di essere risuscito a starci dentro, ad abitare il sentire, anche a discapito della performance. Un sentire che chiamo vergogna, ma che va al di là del significato della parola stessa, e di ciò che ognuno di noi associa a quella parola, perché era una sensazione molto specifica e personale, molto più densa delle parole che io sarei in grado di trovare, per descriverla.

    Per tutto il tempo, la mia testa è stata insoddisfatta, ma gentile, mi ha permesso di lavorare al meglio e senza scappare. E nel viaggio di rientro, ho condiviso con Francesca le sensazioni, la difficoltà. E questa volta il suo ascolto attivo, mi ha fatto di nuovo da specchio, e la mia condivisione risuonava perfettamente con la mia sensazione.

    Il giorno seguente, ieri, il lavoro ha iniziato a sciogliersi e anche la testa ha potuto iniziare a comprendere. È stato bellissimo sentire che tutto è iniziato con un involucro di ansia e che il blocco vergogna, era un altro involucro e che sotto c’era e c’è questa parte di me, rattrappita come se venissimo accartocciati dentro una scatola per ore, se non giorni, che gioiva nel riprendersi il suo spazio.

    Il lavoro non è finito e non si è risolto completamente, ma stare in quel sentimento che mi viene da chiamare Vergogna, adesso significa anche stare insieme a quella parte di me che da un certo punto in poi non ha più potuto parlare, mentre da questo fine settimana ha rivisto il suo dono: la parola e la parola cantata.

    Mi son ritrovato ieri a cantare, con una nuova libertà e un nuovo piacere nell’ascoltarmi.

    C’è tanta strada da fare, e ce ne sarà sempre, ma se mi volto a guardare gli ultimi 4 giorni, posso solo pensare di essere stato guidato. E se ci rendiamo conto, che essere guidati, non significa non avere potere di scelta, ma piuttosto, significa

    fare ancora meglio
    ciò che desideriamo
    nel profondo.

  • Together – INSIEME

    Together – INSIEME

    TOGETHER WE CAN DO WHAT WE CAN NEVER DO ALONE

    Francesca, la donna che condivide con me il quotidiano e molto di più, al mio “vorrei farmi una tisana” risponde con, “ne vuoi una della Yogi?”… come facevo a rifiutare, sono le mie preferite. Così scava nella sua borsa e recupera questa bustina singola, presa da chissà dove. Metto su l’acqua calda, prendo, e leggo l’etichetta, perché so che YogiTea scrive sempre dei messaggi: “Together we can do what we can never do alone”: “Insieme possiamo fare quel che non riusciremmo mai a fare da soli“.

    Alzo lo sguardo, cerco gli occhi di Francesca, le mostro l’etichetta e attendo la sua reazione: qualche secondo per leggere e poi, sorride con gli occhi che brillano mentre incontrano i miei. Ci riconosciamo in quel sentire disarmato che non lascia spazio all’improvvisazione: “Quando i giochi si fanno duri, i duri iniziano a giocare!

    Sì perché dovete sapere che tra percorsi che stiamo seguendo insieme, trattamenti e carte canalizzate, il messaggio – declinato in vari modi – è sempre lo stesso, ovvero “bla bla bla … INSIEME“, “INSIEME troverete bla bla bla”, “se INSIEME allora bla bla bla wow!”. Insomma la parola chiave è, evidentemente INSIEMETOGETHER!

    Io sento che l’Universo mi parla: attraverso sincronicità, ciclicità, simboli, sensazioni, voci sottili, incontri, ecc. E so che negli anni ho smesso di credere a tutto questo, mentre a mio avviso da bambino son stato molto più connesso. Ma quando la vita vuole rimetterti qualcosa sul tuo percorso, trova il modo per farlo. E anni fa, grazie al teatro ho riaperto questo canale e l’ho coltivo a livello di percezione fisica. Negli ultimi anni ho aggiunto una consapevolezza più sottile ancora. I messaggi sono diventati più importanti e la difficoltà a maggiore, ma anche la meraviglia e la bellezza di quando questi puzzle iniziano a prendere forma. O a darti una direzione precisa.

    Ognuno di noi percepisce e comunica in modo differente. C’è chi è più portato a sentire voci, suoni, parole, chi invece nel vedere immagini, colori, chi a percepire con la pelle, gli organi del corpo e così via. Osservandoci – con mente da principiante – possiamo imparare quale parte di noi è più predisposta a ricevere, per aiutarci a creare un primo spazio di fiducia, in cui, successivamente, possono entrare anche gli altri sistemi. Naturalmente ognuno di noi ha il proprio bouquet. Personalmente sento molto con il corpo e la percezione, poi ho la visione, più raramente sento suoni o parole. Anche se col tempo e l’allenamento tutto prende più spazio, si amplifica.

    INSIEME poi mi richiama anche un’altra considerazione. Chi mi conosce da più vicino sa che amo stare da solo, e pur avendo questa necessità e propensione verso l’eremitismo – oggi un po’ meno – non potrei crescere se non abitando uno spazio condiviso con altre persone. Francesca in primis, i figli, la famiglia, perché è il mio quotidiano. Ma poi tutte le persone che la vita ti avvicina e che se siamo attenti riconosciamo come famiglia animica. Da soli non possiamo veramente evolvere, possiamo arrivare fino a un certo punto.

    Probabilmente sarebbe diverso qualora nel nostro percorso ci fosse la via per arrivare ad essere un Asceta, allora forse tanto tempo soli aiuterebbe. Ma non saremmo comunque soli, perché in quell’indagine individuale, saremmo connessi sempre più con la natura e gli elementi che ci circondano. Ma non avendo questa direzione, ad oggi, in questa vita, non sento di poter aggiungere altro.

    Ultima cosa: nel momento in cui l’Universo, attraverso i suoi simboli, incontri, allenamenti ecc. ti porta – e rimarca – un messaggio, ho imparato che conviene dargli seguito, sia nel bene che nel male.

    Perché il più delle volte possiamo non sapere esattamente tutti i motivi per cui accade qualcosa, ma se abbiamo ricevuto messaggi e sensazioni che confermano quella direzione, e sai nel tuo profondo che devi fare proprio quella cosa lì, i motivi passano in secondo piano e li comprenderai eventualmente dopo. Un po’ come si dice in teatro: Prima fai e poi capisci. Che è la stessa cosa che fa un bambino: prima impara a camminare poi eventualmente può capire come funziona la camminata; prima impara a emettere suoni e parlare e poi eventualmente può comprendere la grammatica che permette tutto ciò.

    Anche in questo caso:
    prima iniziamo a seguire i segnali che la vita ci dona
    e poi eventualmente comprenderemo la loro grammatica.

    Alla prossima!

  • Viaggiare

    Viaggiare

    Viaggiare.

    Per me, per anni, ha corrisposto ad un’attività riservata a pochi, o comunque a chi poteva. Ed io non ero tra quelli. Non mi ci sentivo. 

    Poi ho iniziato a esplorare il mondo vicino, con i limiti che le finanze mi chiedevano. Ma libero di creare il mio itinerario, di decidere all’ultimo, di meravigliarmi. E il viaggio non è più stato di chi se lo poteva permettere, ma di chi se lo concedeva. 

    Nel tempo ho percorso distanze sempre maggiori, a volte in solitaria, a volte in compagnia. E mai il valore dell’esperienza è stato legato al budget o al lusso che potevo raggiungere. Piuttosto al valore o alle restrizioni che personalmente ho percepito o di cui mi sono convinto. E il viaggio ha preso la forma di un cammino. 

    Sono stato fortunato fin qua, perché dentro alle esperienze, il più delle volte, ho percepito il bello. E quando non è stato così, il brutto mi ha aiutato a crescere. Magari non subito, spesso non subito, ma a un certo punto, a volte anche a distanza di anni, l’ombra del brutto ha evidenziato il valore del bello. Di allora, o di una trasformazione, o di adesso. 

    Questo ha portato il mio sentire a sapere che anche quando non sento il bello, non sono a mio agio, mi sale un fastidio, o addirittura la rabbia e così via, va bene. Posso permettermi di essere sbagliato, non corrisposto, diverso. 

    E nel tempo scopro come questo sentire cambi e faccia evolvere il bello intorno a me. Cambio nel mio parlare, nel mio pensare, nel mio agire, nel mio esistere. 

    Mi riconnetto anche, a qualcosa di più grande, che corrisponde al mio essere piccolo e che ritrovo nell’agire dello spirito. 

    E il viaggio diventa vivere, la vita, il mio divenire. 

    Marco