Naturalmente se cerchi una risposta a questa domanda, non chiedere a me. Perché scrivo naturalmente? Perché per me, non appena diamo una risposta a questa domanda, la riposta – per quanto corretta possa essere nel momento in cui l’abbiamo pensata – diventa sibillinamente sbagliata.
Come in un gioco di calamite, quando cerchi di metterne una sull’altra, se l’altra è della stessa polarità cambierà posizione repentinamente. E se non ne conosci la ragione, ti sembrerà di impazzire perché ti dirai: “Ma era qua!”, “Ma era qua!”, “Hey ma era qua!”… È un gioco strano e in questo caso non ci è dato nemmeno di conoscere il meccanismo, possiamo arrivare forse a intuirlo o a intenderlo, ma senza la possibilità di farlo nostro in modo ragionevole e ragionato.
In questi casi – per me – è molto meglio stare nella domanda. Altrimenti il contenuto dell’articolo sarebbe stato: “boh!”, ma forse sarebbe stato troppo breve…
Allora provo a stare nel perché mi venga da indagare questa domanda. In primis, nasce da un fine settimana di formazione, all’interno del quale ci siamo proprio tuffati nel tema della multidimensionalità. E non a livello informatico o di realtà aumentata, ma a livello umano, universale e spirituale. Poi perché è un tema che mi sta abitando da un po’ di tempo, in un certo senso l’ho sempre avuto a cuore, e ogni incontro che mi permette di ritrovare un pezzettino di me, mi racconta qualcosa di nuovo e di eterno insieme.
Tante belle parole vero? Ma in definitiva?
Beh in definitiva niente, perché non c’è nulla di definito in questo tema, si intuiva all’inizio, no? Potremmo – forse – raccoglierlo in un aforisma poetico, che amo particolarmente:
“L’incertezza è il clima dell’anima”
tratto da “Escolios a un texto implícito“
una raccolta di aforismi del poeta
Colombiano Nicolás Gómez Dávila.
E ora fatemi filosofeggiare un po’
Se l’incertezza è il clima della nostra anima e l’anima riverbera con l’anima del nostro bellissimo pianeta (e oltre), all’ora l’incertezza deve essere il clima dell’universo. A questo punto se tutto è incerto nulla è certo, ma se picchio il ginocchio contro il tavolo urlo dal dolore e questo è certo, allora se tutto è certo, nulla è incerto?
E qui potremmo iniziare a intuire e intendere come – sul nostro piano duale – gli opposti siano spesso facce della stessa medaglia, dello stesso dualismo: luce-buio, bene-male, giusto-sbagliato… Così, se certo e incerto (che è la negazione di certo: in-certo) son due facce dello stesso dualismo, allora questa realtà ce la raccontiamo vedendola da una sola faccia.
Se inizio a percepire l’altra faccia (ancor prima di raccontarla) ecco che si dovrebbero aprire altri piani di realtà, ma là dove ce n’è uno ce ne sono – forse – infiniti? E anche in-finiti (come negazione di finiti) è una faccia di quel duale che esiste tra finito e infinito, ma che è molto difficile afferrare con la parte razionale e logica del nostro ragionare. Meglio non farlo, potremmo impazzire e non è il caso, ma andiamo avanti.
Quell’incertezza che
mette in dubbio e apre.
[…] Così il nostro procedere
diventa infinito, eterno.
Allora la domanda: “quante realtà viviamo” diventa davvero interessante. Interessante più come indagine: come se diventassimo indagatori del dubbio, di quell’incertezza che mette in dubbio e apre. Apre a nuove realtà e ogni dubbio, al posto di dare nuove risposte e nuovi schemi, può dare nuovi piani di realtà e nuove incertezze. Così il nostro procedere diventa infinito, eterno.
A un certo punto potremmo smettere di cercare risposte e conferme, e rimanere eternamente – appunto – nel divenire incerto di ogni attimo, ma quel giorno – forse – arriverà per chi non abiterà più questo corpo e questo tempo. Per noi, ben venga la fatica e a volte la paura, dell’incertezza – che in una nuova consapevolezza può essere vissuta, anche, con più leggerezza, ma va comunque vissuta.
Se sei arrivato in fondo e la tua risposta rimane un numero definito di realtà, che sia una o più, va benissimo. Ci incroceremo nei piani comuni e ci lasceremo negli altri. Portando con noi quell’esperienza che ci ha resi e ci rende chi siamo.
In fondo, nulla è per sempre, e solo questa frase – per me – è un potentissimo strumento di esistenza, ma te ne parlerò un’altra volta: promesso!
Alla prossima.
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